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Il pianeta blu

Filippo Foti
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Global Warming: recenti studi dimostrano i pericoli incombenti.

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view post Posted on 22/3/2012, 13:33     +1   -1
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Amiamo e rispettiamo Madre Natura
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Se i paesi del pianeta blu non si daranno nuove regole sulle emissioni di gas serra, i danni agli oceani del mondo raggiungeranno circa 2.000 miliardi dollari entro il 2100.


Un'idea dell'architetto russo Alexander Remizov.
L’arca che può salvarci dai cambiamenti climatici e dagli tsunami!?


L'architetto russo Alexander Remizov ha ideato una super arca galleggiante che può contenere fino a 10.000 persone
La notizia è di ieri e riguarda uno studio della "Stockholm Environment Institute" (SEI). Secondo scienziati di questo Istituto, il costo dei danni agli oceani del mondo dovuto ai cambiamenti climatici, potrebbe raggiungere i 2.000 miliardi dollari (1.500 miliardi di euro) l'anno entro il 2100 se le misure per ridurre le emissioni di gas serra non saranno intensificati.

Lo abbiamo scritto spesso in queste nostre pagine e con forza lo ribadiamo. Lo studio ha evidenziato che senza una azione incisiva per limitare l'aumento delle emissioni di gas serra, la temperatura media globale potrebbe salire di 4 gradi Celsius entro la fine del secolo, causando l'acidificazione degli oceani, l'aumento del livello del mare, l'inquinamento marino, la migrazione delle specie e cicloni tropicali più intensi. Potrebbe anche minacciare le barriere coralline, interrompere la pesca ed impoverire gli stock ittici.

Abbiamo usato il condizionale per non suscitare ilarità in chi non crede in queste cose, ma siamo fermamente convinti che così come procede il mondo globalizzato ci siano le condizioni ed i presupposti perché invece si verifichino tutte le situazioni di cui sopra.

Nello studio, "Valorizzare l'Oceano", gli esperti marini guidati dal "Stockholm Environment Institute" (SEI) hanno analizzato le minacce più gravi che insistono nell'ambiente marino del mondo e sono anche pervenuti a stimare il costo dei danni dal riscaldamento globale.
Hanno trovato che i fertilizzanti ricchi di azoto, ad esempio, metterebbero a nudo le aree oceaniche, causando quello che viene definito ipossia degli oceani zone morte, che sono già presenti in più di 500 località.


Le "dead zone", ovvero aree morte, sono luoghi della Terra in cui l'inquinamento è così elevato da uccidere i pesci o mutarne alcune caratteristiche, danneggiando anche le forme di vita vegetale per cui si hanno ripercussioni sulle persone la cui esistenza dipende da quelle aree.
Ciò si verifica per diversi motivi, ne citiamo a mo di esempio due:

- primo in quanto arriva un eccesso di sostanze nutrienti, in particolare azoto e fosforo e loro composti, come conseguenza di un uso inopportuno di fertilizzanti in agricoltura ed in seguito alle emissioni dai veicoli e dalle centrali termiche a combustibili fossili;
- il secondo motivo che porta alla morte di un tratto di mare sono le inondazioni. Quando grandi quantità di acqua dolce arriva in mare, forma un sottile strato che galleggia su quella salata che è più densa. Ciò causa una barriera tra l'acqua dell'oceano e l'ossigeno dell'atmosfera, impedendone l'assorbimento. Per un motivo e per l'altro la maggior parte dei pesci muore o è costretta ad abbandonare l'habitat.

Per fortuna non tutte le "zone morte" rimangono tali per tutto l'anno. Alcune di esse ritornano ad avere una quantità di ossigeno ottimale per la vita marina quando, ad esempio, i venti rimescolano le acque. Per altre zone, però, il fenomeno è diventato permanente.

La dottoressa Nancy Rabalais è il direttore esecutivo e professore all'Università della Louisiana Marine Consortium (LUMCON). I suoi interessi di ricerca includono l'oceanografia biologica degli ecosistemi della piattaforma continentale influenzati da grandi fiumi, la distribuzione e la dinamica delle masse d'acqua ipossiche, animale/sedimenti relazioni, pelagico-bentonico di accoppiamento, l'ecologia degli estuari e bentonici, gli effetti ambientali delle alterazioni degli habitat, gli effetti del petrolio e le industrie chimiche , l'eutrofizzazione e gli effetti dell'ipossia.

Nancy Rabalais

Spiega Rabalais: "non c'è più nulla da fare per queste zone? Per fortuna il danno può essere riparato. Il Mar Morto negli anni '70 possedeva la peggiore "dead zone" del pianeta, ma in seguito ad una forte riduzione dei fertilizzanti utilizzati dall'agricoltura sulle sue sponde, dopo la caduta dell'Unione Sovietica, il mare sta tornando ad avere vita. Ancora oggi è tra le aree peggiori del pianeta, ma potrebbe ritornare ad essere un mare ricco di pesci tra non più di cinque anni".

Ma se il Mar Morto riprende vita, le Nazioni Unite additano come esempio un'altra "isola felice": quella del Mare del Nord. Tra il 1985 e il 2000 l'azoto arrivato dal Fiume Reno è stato ridotto del 37% ed il mare è ritornato ad essere vivo.
"Entro il 2100, il costo dei danni dovuti alle emissioni se non radicalmente ridotti saliranno a 1.980 miliardi dollari, lo 0,37 per cento del prodotto interno lordo globale", ha detto il SEI.
TECNOLOGIE RADICALI
Lo studio ha anche messo in evidenza che se i tagli delle emissioni del pianeta, riscaldamento gas a effetto serra, saranno effettuati con maggiore urgenza e l'aumento della temperatura si limiterà a 2,2 °C, quasi 1.400 miliardi dollari del costo totale potrebbero essere evitati.
"Più velocemente fermiamo l'aumento delle emissioni, minore è il danno che ne conseguirà. Ma con la tecnologia attuale, non sarei sorpreso se si finisce su un percorso di 4°C," ha detto Frank Ackerman direttore del "Climate Economics Group".

Frank Ackerman

Lo studio non ha messo un valore monetario sulla perdita di alcune specie che popolano gli oceani del mondo, i processi critici come il ciclo dei nutrienti o la perdita della vita di tradizionali comunità costiere.

"La sfida è di capire quali parti dell'ambiente marino hanno un valore decisivo. Ci sono aree molto importanti, che non siamo ancora in grado di incorporare in un mercato", ha detto Ackerman.
Lo studio ha anche raccomandato che le Nazioni Unite provvedano alla nomina di un "Alto Commissario" per gli oceani per coordinare la ricerca e l'azione per una politica economica globale che tenga conto di questo problema.


Gli ecosistemi marini, come le mangrovie e le erbe del mare, contengono molto più carbonio delle foreste terrestri, ma vengono degradate ad un ritmo più allarmante e non sono ancora incluse in programmi di "carbon offset"(compensare le emissioni di carbonio) , che ricompensi appunto gli investitori in progetti di riduzione delle emissioni nei paesi in via di sviluppo con crediti di carbonio.

"Il monitoraggio delle compensazioni di carbonio terrestri è una sfida sufficiente, mentre c'è ancora molto da fare circa la responsabilità legale per le diverse parti degli'oceani; è proprio questa sarà una nuova sfida", ha detto Ackerman.

Edited by Filippo Foti - 23/3/2012, 09:59

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mari,
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